Seduta sul divano immaginario, primo elemento d'arredo di questo spazio, magari posizionato davanti a una smart tv di ultimissima generazione, che cerca di tendere alla perfezione dello schermo cinematografico per dimensioni ed effetti speciali come l'opzionabile 3D, ma in risposta ai tuoi comandi vocali non è in grado di impostare una conversazione - a quello, per fortuna, ci pensa ancora l'interlocutore invitato a casa tua (tranne se noioso e allora è meglio che stia in silenzio e domini il sottofondo indistinto di un programma a caso) - decido di consigliare il mio primo film del cuore, una vecchia, sempreverde pellicola in bianco e nero: Jules e Jim, uno
struggente canto di libertà e anticonformismo.
Il
genere sentimentale è tra i più frequentati al cinema, l'arte che
ama e imita la vita. Nello sconfinato campionario di storie c'è una
non qualunque nella sua singolarità, che si è affermata come
l'anti-modello del rapporto di coppia convenzionalmente costituito da
un uomo e una donna, attratti fisicamente e spiritualmente l'uno dall'altra e quanto
più fedeli alla loro unione nel tempo. Ecco, invece, la storia fuori dagli
schemi di un rapporto amoroso: Jules e Jim, uno dei mènage
à trois piu celebri proiettati, fino ad oggi, sul grande
schermo. Si tratta di una vicenda realmente accaduta nella Parigi
degli anni Venti che il cineasta francese François Truffaut trasformò
in una pellicola del 1962.
Allora la rivoluzionaria corrente della Nouvelle
Vague stava gettando le sue basi teoriche ma vi erano fin troppi tabù da sfatare per poter riscuotere un'approvazione che non
prevedesse almeno una reazione di disappunto tra i benpensanti (con
chissà quali scheletri, per meglio dire, amanti nei propri armadi).
Seppure osteggiato da una prima censura, Jules e Jim, ossia
l' adattamento dell'omonimo
romanzo autobiografico firmato nel 1953 dallo scrittore francese Henri Pierre
Roché, non potè non diventare un vero e proprio
film di culto della cinematografia d'autore. Quest'opera letteraria,
rimasta nell'ombra dalla sua pubblicazione, fu scoperta in una
libreria parigina e portata al successo dal giovane Truffaut, già critico
cinematografico attivo nei Chaiers du Cinema, alle prime armi
con la macchina da presa (aveva appena girato il suo primo
lungometraggio I Quattrocento Colpi). Rochè descrive in forma diaristica, prima nei suoi Taccuini privati e dopo, sotto le mentite spoglie del romanzo, la sua
relazione burrascosa con la moglie del suo migliore amico Franz
Hessel, anch'egli scrittore, ebreo di origini tedesche, giunto nella
Parigi della Belle Epoque, patria elettiva degli intellettuali e
artisti stranieri. La donna contesa si chiama Catherine, dietro cui
si cela la pittrice tedesca Helen Grund, interpretata da Jeanne
Moreau, unica attrice famosa del cast, fortemente voluta dal regista
per una parte che le si sarebbe cucita perfettamente addosso grazie a
una carica espressiva inconfondibile. I personaggi maschili sono
Oskar Werner e Henri Serre, semi-sconosciuti e immuni dal fenomeno
del divismo, come voleva la politica della Nouvelle Vague.
Jules
e Jim incarnano due bohemiennes dediti ai piaceri della vita mondana
che condividono tutto, passioni, interessi, libri, fino a innamorarsi
della stessa donna. Quest'ultima è l'antesignana di ciò che sarà il
femminismo, un'eroina spregiudicata e libera. A sua volta amerà entrambi,
ciascuno a suo modo: sarà attratta da Jim, ma conserverà una
tenerezza per Jules, senza badare alla severa morale religiosa o
borghese, che li avrebbe bollati come libertini dissoluti. Jules,
privo di gelosia, acconsente all'adulterio e non nutre alcuna
rivendicazione di possesso verso sua moglie. Non può gareggiare con
l'amante Jim, semplicemente perché prova una forma di amore amicale
di pari intensità. Tutto sembra procedere secondo una calma
apparente nello chalet di montagna dove hanno ritagliato il loro
angolo di mondo, solo la guerra riesce a dissolvere materialmente il
trio. A conflitto finito, ritrovatisi di nuovo, ci penserà il
continuo tumulto interiore di un'instabile e insoddisfatta Catherine
a mettere la parola fine, almeno nella finzione filmica. Catherine, al
volante della sua auto, si getterà nel fiume, non prima di aver
fatto salire a bordo Jim. L'eroina femminile metterà in atto il suo
ultimo azzardato colpo di scena, in una perenne sfida con la morte,
sotto gli occhi di un attonito e impotente Jules, nella famosa
sequenza che ritrae lo sguardo in soggettiva dela donna, placido e
imperturbabile, nello specchietto retrovisore. Poiché Truffaut e il
suo collaboratore Jean Gruault volevano rimanere quanto più fedeli
alla storia, in memoria di Roché, che avrebbe dovuto scrivere la
sceneggiatura ma morì prima dell'inizio delle riprese, vi è un
ricorrente utilizzo del commento, così la voce fuori campo legge
interi passaggi tratti dal romanzo, sovrapponendosi alle immagini.
Lente dissolvenze, numerosi fermo immagine e una magistrale colonna
sonora, di cui "Le tourbillon de la vie" cantata da Jeanne Moreau è il concentrato emotivo in musica, contribuiscono a rendere la pellicola impalpabile e intensa al contempo.
Jules
e Jim, per ammissione dello stesso Truffaut, non è una storia
amorale ma mostra, piuttosto, la morale alternativa dei tre
protagonisti, finché anche questa non diviene insufficiente, proprio come in una normale
dinamica di coppia. Nonostante
possa sembrare desueta rispetto ai costumi odierni,
continua
a stupire e affascinare gli spettatori per la purezza con cui tratta
un tema scabroso, di passione autentica, che rasenta il paradosso ma si
imprime poeticamente nelle coscienze di chi ha intelletto d'Amore.