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giovedì 23 aprile 2015

Lady Tresy a Paris. Viaggio con la musica

Oggi, per puro caso, mi sono imbattuta in quel franchising chiamato Mercatino dell'Usato. All'andata ero di corsa e ci sono passata avanti, senza prestargli troppa attenzione, anche se ne avevo già visto uno vicino casa e prima o poi sarei voluta entrarci, sensibile come sono al fascino di tutto ciò che è old style o vintage o retrò che dir si voglia. Ma al ritorno, un richiamo irresistibile mi ha condotto all'interno. Mi sono inoltrata nei meandri impolverati tra ogni sorta di chincaglieria, abbandonata da chissà chi per disuso, sperando di ricavarci due soldi (io è difficile riesca a sbarazzarmi di qualcosa, piuttosto il contrario), ero curiosa e smaniosa come una bimba che rovista elettrizzata nella cesta dei giocattoli ammassati all'asilo e vorrebbe adottare una bambola.
L'angolo dei vinili mi calamita ogni volta (secondi solo alle macchine da scrivere). Poi la folgorazione c'è stata con questo 33 giri. Una copertina raffigurante la Tour Eiffel in primavera. "Lady Eve et son orgue A Paris". Non sono riuscita a trovare informazioni su internet, sembra una rarità. Non potevo lasciarlo lì. Dovevo accoglierlo nella mia camera da rigattiera. Tra i brani dedicati agli angoli magici di questa città a me empaticamente affine e di una bellezza senza tempo (patria del mio caro Truffaut a cui ho dedicato la mia tesi di laurea, nonché scenario del Favoloso mondo di Amelie che ha condizionato la mia adolescenza, giusto per fare due esempi) c'è uno di Charles Trénet, compositore che conobbi proprio con il film di Truffaut Baci Rubati. Il brano si chiama Ménilmontant ed è una romantica ballata "poétique et pathétique".
 Vado a dormire con questa colonna sonora proiettandomi nel sogno in quelle strade dove ho lasciato petali di cuore.
Parigi è musica per le mie orecchie. 


domenica 30 giugno 2013

Nella mia videoteca non può mancare: "Jules e Jim" di François Truffaut

Seduta sul divano immaginario, primo elemento d'arredo di questo spazio, magari posizionato davanti a una smart tv di ultimissima generazione, che cerca di tendere alla perfezione dello schermo cinematografico per dimensioni ed effetti speciali come l'opzionabile 3D, ma in risposta ai tuoi comandi vocali non è in grado di impostare una conversazione - a quello, per fortuna, ci pensa ancora l'interlocutore invitato a casa tua (tranne se noioso e allora è meglio che stia in silenzio e domini il sottofondo indistinto di un programma a caso) - decido di consigliare il mio primo film del cuore, una vecchia, sempreverde pellicola in bianco e nero: Jules e Jim, uno struggente canto di libertà e anticonformismo.
Il genere sentimentale è tra i più frequentati al cinema, l'arte che ama e imita la vita. Nello sconfinato campionario di storie c'è una non qualunque nella sua singolarità, che si è affermata come l'anti-modello del rapporto di coppia convenzionalmente costituito da un uomo e una donna, attratti fisicamente e spiritualmente l'uno dall'altra e quanto più fedeli alla loro unione nel tempo. Ecco, invece, la storia fuori dagli schemi di un rapporto amoroso: Jules e Jim, uno dei mènage à trois piu celebri proiettati, fino ad oggi, sul grande schermo. Si tratta di una vicenda realmente accaduta nella Parigi degli anni Venti che il cineasta francese François Truffaut trasformò in una pellicola del 1962.
Allora la rivoluzionaria corrente della Nouvelle Vague stava gettando le sue basi teoriche ma vi erano  fin troppi tabù da sfatare per poter riscuotere un'approvazione che non prevedesse almeno una reazione di disappunto tra i benpensanti (con chissà quali scheletri, per meglio dire, amanti nei propri armadi). Seppure osteggiato da una prima censura, Jules e Jim, ossia l' adattamento dell'omonimo romanzo autobiografico firmato nel 1953 dallo scrittore francese Henri Pierre Roché, non potè non diventare un vero e proprio film di culto della cinematografia d'autore. Quest'opera letteraria, rimasta nell'ombra dalla sua pubblicazione, fu scoperta in una libreria parigina e portata al successo dal giovane Truffaut, già critico cinematografico attivo nei Chaiers du Cinema, alle prime armi con la macchina da presa (aveva appena girato il suo primo lungometraggio I Quattrocento Colpi). Rochè descrive in forma diaristica, prima nei suoi Taccuini privati e dopo, sotto le mentite spoglie del romanzo, la sua relazione burrascosa con la moglie del suo migliore amico Franz Hessel, anch'egli scrittore, ebreo di origini tedesche, giunto nella Parigi della Belle Epoque, patria elettiva degli intellettuali e artisti stranieri. La donna contesa si chiama Catherine, dietro cui si cela la pittrice tedesca Helen Grund, interpretata da Jeanne Moreau, unica attrice famosa del cast, fortemente voluta dal regista per una parte che le si sarebbe cucita perfettamente addosso grazie a una carica espressiva inconfondibile. I personaggi maschili sono Oskar Werner e Henri Serre, semi-sconosciuti e immuni dal fenomeno del divismo, come voleva la politica della Nouvelle Vague.
Jules e Jim incarnano due bohemiennes dediti ai piaceri della vita mondana che condividono tutto, passioni, interessi, libri, fino a innamorarsi della stessa donna. Quest'ultima è l'antesignana di ciò che sarà il femminismo, un'eroina spregiudicata e libera. A sua volta amerà entrambi, ciascuno a suo modo: sarà attratta da Jim, ma conserverà una tenerezza per Jules, senza badare alla severa morale religiosa o borghese, che li avrebbe bollati come libertini dissoluti. Jules, privo di gelosia, acconsente all'adulterio e non nutre alcuna rivendicazione di possesso verso sua moglie. Non può gareggiare con l'amante Jim, semplicemente perché prova una forma di amore amicale di pari intensità. Tutto sembra procedere secondo una calma apparente nello chalet di montagna dove hanno ritagliato il loro angolo di mondo, solo la guerra riesce a dissolvere materialmente il trio. A conflitto finito, ritrovatisi di nuovo, ci penserà il continuo tumulto interiore di un'instabile e insoddisfatta Catherine a mettere la parola fine, almeno nella finzione filmica. Catherine, al volante della sua auto, si getterà nel fiume, non prima di aver fatto salire a bordo Jim. L'eroina femminile metterà in atto il suo ultimo azzardato colpo di scena, in una perenne sfida con la morte, sotto gli occhi di un attonito e impotente Jules, nella famosa sequenza che ritrae lo sguardo in soggettiva dela donna, placido e imperturbabile, nello specchietto retrovisore. Poiché Truffaut e il suo collaboratore Jean Gruault volevano rimanere quanto più fedeli alla storia, in memoria di Roché, che avrebbe dovuto scrivere la sceneggiatura ma morì prima dell'inizio delle riprese, vi è un ricorrente utilizzo del commento, così la voce fuori campo legge interi passaggi tratti dal romanzo, sovrapponendosi alle immagini. Lente dissolvenze, numerosi fermo immagine e una magistrale colonna sonora, di cui "Le tourbillon de la vie" cantata da Jeanne Moreau è il concentrato emotivo in musica, contribuiscono a rendere la pellicola impalpabile e intensa al contempo.

Jules e Jim, per ammissione dello stesso Truffaut, non è una storia amorale ma mostra, piuttosto, la morale alternativa dei tre protagonisti, finché anche questa non diviene insufficiente, proprio come in una normale dinamica di coppia. Nonostante possa sembrare desueta rispetto ai costumi odierni, continua a stupire e affascinare gli spettatori per la purezza con cui tratta un tema scabroso, di passione autentica, che rasenta il paradosso ma si imprime poeticamente nelle coscienze di chi ha intelletto d'Amore.