Cara Tresy... scrivimi

Nome

Email *

Messaggio *

Visualizzazione post con etichetta cinema. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta cinema. Mostra tutti i post

mercoledì 23 aprile 2014

Tracks – Attraverso il deserto, un viaggio alla ricerca di sè



Uscirà nelle sale il prossimo 29 aprile Tracks, il nuovo film del regista statunitense John Curran, presentato in concorso alla 70esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Racconta la storia vera di Robyn Davidson, una ragazza australiana, interpretata daMia Wasikowska, che nel 1977 attraversò a piedi 2700 km di deserto australiano, da Alice Spring all’Oceano Indiano, in compagnia del suo cane nero e dei suoi quattro cammelli. Tratta dall’omonimo bestseller autobiografico, assistiamo alla riproduzione di un’impresa estrema, di ostinata alienazione dall’umanità. È un sfida dei propri limiti che, se in partenza sembra pretestuosa e folle, trova il suo senso rotta dopo rotta, tracciata dalla protagonista su una cartina di “luoghi dell’anima”, in cui sono nascosti pericoli, luci e ombre, miraggi abbaglianti e dolorosi ricordi insabbiati.
Questo impervio viaggio verso l’ignoto, nella sconfinata distesa di dune e terra arida, sia suggestiva che angosciante, mai uguale da punto a punto (e per perdere la bussola basta davvero un soffio), è stato reso da Curran quanto più fedele alle foto originali pubblicate dal National Geographic, che all’epoca finanziò l’avventura della “Signora dei cammelli”. Robyn, da accordi e contro il suo voto di solitudine (salvo qualche raro incontro con vecchie popolazioni aborigene o turisti curiosi), concedeva di essere scortata solo in alcune tappe dal fotografo Rick Smolan (Adam Driver), per documentare l’avanzata divenuta fenomeno mediatico.
Mia Wasikowska dà prova di bravura e grande resistenza fisica, entrando perfettamente in questa seconda pelle arsa dai raggi infuocati, grondante di gocce di sudore, con i piedi induriti dal lungo cammino, dandoci la misura di quanto siano preziosi i sorsi d’acqua centellinata e la dimensione del silenzio, che spaventa ma mette in contatto con la voce interiore del proprio io. Ogni tanto, la colonna sonora proveniente da un mangianastri è l’epifania che spezza il sottofondo naturale e attiva i flashback della memoria.
Tracks prende a modello Robyn Davidson come uno spirito selvatico che non vuole lasciarsi ammaestrare dalla società codificata, il suo è un ritorno al bisogno di sopravvivenza ed esplorazione degli uomini primitivi.
Nel 1977 poteva sembrare ancora concepibile non essere aggiornati e non aggiornare in tempo reale su ciò che succedeva attorno. Almeno per la durata del film, anche noi saremo isolati dai nostri dispositivi elettronici che annullano sì le distanze della comunicazione globale ma ci hanno resi schiavi di viziosi automatismi. E magari proveremo un po’ di quella stessa sete.

lunedì 11 novembre 2013

“L'ultima ruota del carro”, al Festival del Film di Roma 2013 fa da traino la positività



Recensione: 

Dopo la presentazione in anteprima al Festival Internazionale del film di Roma nella categoria Fuori Concorso, "L'ultima ruota del carro" di Giovanni Veronesi uscirà nelle sale il 14 novembre.

L'Italia è (o almeno era) una Repubblica fondata sulla famiglia. “L'ultima ruota del carro” di Giovanni Veronesi, presentato Fuori Concorso all'ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, vuole raccontare questa istituzione di cui se ne sottovaluta il valore, attraverso la figura rappresentativa di Ernesto Marchetti. A interpretarlo c'è Elio Germano, che conferma la sua bravura e maturità attoriale, all'altezza di un ruolo che va evolvendosi nel tempo. Il regista toscano, tornato al cinema dopo “Manuale d'amore 3”, ci regala una commedia all'italiana dal sapore nostalgico, insieme ilare e commovente nella sue  intenzioni autentiche. Buona parte della sceneggiatura è ricavata dalla storia vera di quest' uomo in apparenza comune, all'anagrafe Ernesto Fioretti,suo autista di produzione (il quale fa una piccola comparsa come sacrestano).
In una Roma popolare degli anni Sessanta, il giovane Ernesto si lega per la vita, e soprattutto per amore, ad Angela, la ragazza della porta accanto Alessandra Mastronardi, esempio di moglie come non ne esistono quasi più, nonostante abbia il brutto vizio di buttare tutto quello che le capiti sotto tiro per fare ordine.
Mentre viene scandito il vissuto quotidiano di questo nucleo familiare allargato, fatto di nonni, zii, amici, riuniti durante le vacanze al mare o nei compleanni, con l'onnipresente collante calcio, giocato e seguito da tifosi ( bisogna recitare la “Bibbia” della formazione della Roma prima di soffiare sulle candeline), si ripercorrono alcuni significativi avvenimenti storici, tra cui l'assassinio di Aldo Moro nel 1978 da parte delle Brigate Rosse, la vittoria dell'Italia ai mondiali del 1982, il progredire della tecnologia con l'avvento del computer e il regredire della società civile, lo scandalo Tangentopoli di inizio anni Novanta, l'ingresso in politica di Silvio Berlusconi nel 1994 con Forza Italia e l'odierna crisi.
Ernesto, che nella scala sociale si colloca in basso come un“uomo di fatica”, cambia svariati lavori e porta avanti la sua piccola ditta di traslochi, invece di scegliere la via facile per il proprio utile. Una volta c'aveva provato con una raccomandazione ottenuta dallo zio ammanicato in conoscenze (Cesare Battista), ma si era tirato indietro, a differenza di quanto fa il migliore amico Giacinto, Ricky Menphis – altro amato volto della romanità – il quale va orientandosi in base a dove finisca il potere, ora di questo o quell'altro partito - qui rappresentato dal manager corrotto Sergio Rubini e dalla segretaria complice Virginia Raffaele - e con esso il traffico di soldi, spesso sporchi.
Poco furbo? No, soltanto onesto il nostro protagonista, la cui rima, si presta a ben altra battuta goliardica del film, con la quale il Maestro (un Alessandro Haber, tagliato per la parte che non si discosta da quelle interpretate in passato), stravagante pittore di fama, lo accoglie quando deve caricare una tela sul furgone, indirizzata a qualche riccone, interessato solo alla firma e non all'essenza dell'opera. Invece il Maestro ha visto lungo sull'essenza di Ernesto, che i contraccolpi della vita li porta tutti sulla schiena. La sua forza sta nel saper riderci su anche quando il destino si prende ripetutamente beffa di lui, fino alla fine. E andare avanti.
Giovanni Veronesi, che sfrutta la valenza istruttiva del cinema, lancia un messaggio di speranza, non si tratta di mero sentimentalismo. È su uomini volenterosi come Ernesto, non ultima ruota del carro ma vero e proprio motore di un ingranaggio sano, che il nostro Paese deve tornare a puntare.


GENERE: Commedia
REGIA: Giovanni Veronesi
SCENEGGIATURA: Giovanni Veronesi, Ugo Chiti, Filippo Bologna, Ernesto Fioretti
ATTORI:Elio Germano, Alessandra Mastronardi, Ricky Memphis, Sergio Rubini, Virginia Raffaele, Alessandro Haber, Francesca Antonelli, Maurizio Battista, Francesca D'Aloja,Luis Molteni, Dalila Di Lazzaro, Ubaldo Pantani, Massimo Wertmüller, Elena Di Cioccio 
FOTOGRAFIA: Fabio Cianchetti
MONTAGGIO: Patrizio Marone
PRODUZIONE: Fandango, Warner Bros. Italia
DISTRIBUZIONE: Warner Bros Pictures Italia
PAESE: Italia 2013
DURATA: 113 Min
FORMATO: Colore 


domenica 30 giugno 2013

Nella mia videoteca non può mancare: "Jules e Jim" di François Truffaut

Seduta sul divano immaginario, primo elemento d'arredo di questo spazio, magari posizionato davanti a una smart tv di ultimissima generazione, che cerca di tendere alla perfezione dello schermo cinematografico per dimensioni ed effetti speciali come l'opzionabile 3D, ma in risposta ai tuoi comandi vocali non è in grado di impostare una conversazione - a quello, per fortuna, ci pensa ancora l'interlocutore invitato a casa tua (tranne se noioso e allora è meglio che stia in silenzio e domini il sottofondo indistinto di un programma a caso) - decido di consigliare il mio primo film del cuore, una vecchia, sempreverde pellicola in bianco e nero: Jules e Jim, uno struggente canto di libertà e anticonformismo.
Il genere sentimentale è tra i più frequentati al cinema, l'arte che ama e imita la vita. Nello sconfinato campionario di storie c'è una non qualunque nella sua singolarità, che si è affermata come l'anti-modello del rapporto di coppia convenzionalmente costituito da un uomo e una donna, attratti fisicamente e spiritualmente l'uno dall'altra e quanto più fedeli alla loro unione nel tempo. Ecco, invece, la storia fuori dagli schemi di un rapporto amoroso: Jules e Jim, uno dei mènage à trois piu celebri proiettati, fino ad oggi, sul grande schermo. Si tratta di una vicenda realmente accaduta nella Parigi degli anni Venti che il cineasta francese François Truffaut trasformò in una pellicola del 1962.
Allora la rivoluzionaria corrente della Nouvelle Vague stava gettando le sue basi teoriche ma vi erano  fin troppi tabù da sfatare per poter riscuotere un'approvazione che non prevedesse almeno una reazione di disappunto tra i benpensanti (con chissà quali scheletri, per meglio dire, amanti nei propri armadi). Seppure osteggiato da una prima censura, Jules e Jim, ossia l' adattamento dell'omonimo romanzo autobiografico firmato nel 1953 dallo scrittore francese Henri Pierre Roché, non potè non diventare un vero e proprio film di culto della cinematografia d'autore. Quest'opera letteraria, rimasta nell'ombra dalla sua pubblicazione, fu scoperta in una libreria parigina e portata al successo dal giovane Truffaut, già critico cinematografico attivo nei Chaiers du Cinema, alle prime armi con la macchina da presa (aveva appena girato il suo primo lungometraggio I Quattrocento Colpi). Rochè descrive in forma diaristica, prima nei suoi Taccuini privati e dopo, sotto le mentite spoglie del romanzo, la sua relazione burrascosa con la moglie del suo migliore amico Franz Hessel, anch'egli scrittore, ebreo di origini tedesche, giunto nella Parigi della Belle Epoque, patria elettiva degli intellettuali e artisti stranieri. La donna contesa si chiama Catherine, dietro cui si cela la pittrice tedesca Helen Grund, interpretata da Jeanne Moreau, unica attrice famosa del cast, fortemente voluta dal regista per una parte che le si sarebbe cucita perfettamente addosso grazie a una carica espressiva inconfondibile. I personaggi maschili sono Oskar Werner e Henri Serre, semi-sconosciuti e immuni dal fenomeno del divismo, come voleva la politica della Nouvelle Vague.
Jules e Jim incarnano due bohemiennes dediti ai piaceri della vita mondana che condividono tutto, passioni, interessi, libri, fino a innamorarsi della stessa donna. Quest'ultima è l'antesignana di ciò che sarà il femminismo, un'eroina spregiudicata e libera. A sua volta amerà entrambi, ciascuno a suo modo: sarà attratta da Jim, ma conserverà una tenerezza per Jules, senza badare alla severa morale religiosa o borghese, che li avrebbe bollati come libertini dissoluti. Jules, privo di gelosia, acconsente all'adulterio e non nutre alcuna rivendicazione di possesso verso sua moglie. Non può gareggiare con l'amante Jim, semplicemente perché prova una forma di amore amicale di pari intensità. Tutto sembra procedere secondo una calma apparente nello chalet di montagna dove hanno ritagliato il loro angolo di mondo, solo la guerra riesce a dissolvere materialmente il trio. A conflitto finito, ritrovatisi di nuovo, ci penserà il continuo tumulto interiore di un'instabile e insoddisfatta Catherine a mettere la parola fine, almeno nella finzione filmica. Catherine, al volante della sua auto, si getterà nel fiume, non prima di aver fatto salire a bordo Jim. L'eroina femminile metterà in atto il suo ultimo azzardato colpo di scena, in una perenne sfida con la morte, sotto gli occhi di un attonito e impotente Jules, nella famosa sequenza che ritrae lo sguardo in soggettiva dela donna, placido e imperturbabile, nello specchietto retrovisore. Poiché Truffaut e il suo collaboratore Jean Gruault volevano rimanere quanto più fedeli alla storia, in memoria di Roché, che avrebbe dovuto scrivere la sceneggiatura ma morì prima dell'inizio delle riprese, vi è un ricorrente utilizzo del commento, così la voce fuori campo legge interi passaggi tratti dal romanzo, sovrapponendosi alle immagini. Lente dissolvenze, numerosi fermo immagine e una magistrale colonna sonora, di cui "Le tourbillon de la vie" cantata da Jeanne Moreau è il concentrato emotivo in musica, contribuiscono a rendere la pellicola impalpabile e intensa al contempo.

Jules e Jim, per ammissione dello stesso Truffaut, non è una storia amorale ma mostra, piuttosto, la morale alternativa dei tre protagonisti, finché anche questa non diviene insufficiente, proprio come in una normale dinamica di coppia. Nonostante possa sembrare desueta rispetto ai costumi odierni, continua a stupire e affascinare gli spettatori per la purezza con cui tratta un tema scabroso, di passione autentica, che rasenta il paradosso ma si imprime poeticamente nelle coscienze di chi ha intelletto d'Amore. 



sabato 29 giugno 2013

L'importante è partecipare...Che non lo apri un blog?

Fino a poco tempo fa  mi bastava la "mole di pensieri molesti sulla mia Moleskine", buttati giù qua e là a penna, senza una periodicità rilevabile da statistiche, grafici o per cui fosse necessario il disclaimer che "non rappresentano una testata giornalistica", semplicemente frutto dei miei "flussi e cicli" umorali, in relazione all'andamento delle correnti atmosferiche, geomorfiche, antropologiche o trascendentali circostanti.
Tuttavia, sebbene l'era della "blogalizzazione" esista da un po', mi sento chiamata a emanciparmi anche io, che mi ritengo una cittadina della rete, regolarmente censita sui principali social network (nonostante per la maggior parte di questi sia un'utente inattiva forse dalla mia data di registrazione, salvo Facebook dove sono a un passo dall'essere radiata per mancanza di interazione, tranne per qualche augurio di compleanno o commento in bacheca) e moderatamente alfabetizzata, con velleità scribacchine più o meno dichiarate. In verità, sono stata una sproloquiatrice acerba già in età adolescenziale, quando circolavano i "Windows Live Spaces" associati al contatto messenger e in quel caso era come abbozzare una sorta di diario personale senza lucchetto e filtri, affidando le mie tragicomiche giornate post-scolastiche al ludibrio altrui, ossia dei miei amici di chat che potevano averne accesso (e in tutta franchezza credo se ne guardassero bene dall'andarci.) Nato e tramontato anche prima del diploma, dubito ne sia rimasta traccia sul mio hard disk, nonostante i vari solleciti via email della Microsoft che mi suggeriva di salvare il salvabile prima che procedesse all'estinzione naturale. Poca roba, ad ogni modo. Questo esperimento altrettanto modesto, al quale non garantisco aspettative di vita maggiori per la mia mancanza genetica di costanza nel portare avanti qualsiasi cosa il mio cervello non percepisca come obbligo morale e civile, vuole essere un'evoluzione pubblica, più discreta per quanto riguarda le mie questioni prettamente private, incentrata sulle osservazioni da libera pensatrice che vive la sua fetta di globo e coltiva diversi interessi, tra cui cinema, musica, teatro, fotografia, moda, cucina, lifestyle e frivolezze squisitamente femminili, eventualmente oggetto di discussione. Magari non soltanto tra me e me. O forse tra me e la tastiera. In bella copia, però, evitando quegli scarabocchi che rendono indecifrabile la mia stessa rilettura.
Sarà una casa virtuale, ospitata su questa piattaforma gentilmente messa a disposizione gratis da Google, in cui traslocare i miei appunti, le  mie considerazioni e recensioni, mentre le sollecitazioni dall'esterno cominciano a farmi visita e per il momento posso farle accomodare su un "divano spartano" per fare due chiacchiere, avendo tutto ancora da arredare. 
Benvenuti/e.